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Posts Tagged ‘ricorrenza’

Il tricolore italiano nasce ufficialmente il 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia come bandiera della Repubblica Cispadana, proposto da Giuseppe Compagnoni.

Una origine di circa ottanta giorni più remota, rispetto a Reggio Emilia, è stata ipotizzata dal professor Giovanelli. Egli faceva riferimento alla seduta comunale del 22 ottobre 1796, tenuta presso il palazzo comunale del Fariolo, allora ancora sede del Comune di Felina, in cui si trattava l’unione dei paesi di Felina e Braglia alla Repubblica Reggiana. L’ordine del giorno era composto da dodici punti e il settimo di questi era così formulato: “Potrà il Popolo suddetto distruggere la bandiera dell’ex feudatario e farne una tricolorata colle parole: Libertà, Egualianza”.

Come altre bandiere, anche l’italiana si ispira alla bandiera francese introdotta con la rivoluzione del 1789. Quando le armate napoleoniche attraversarono l’Italia, nel 1796, sia le varie neonate repubbliche giacobine, sia i reparti militari che affiancavano l’esercito di Napoleone adottarono bandiere simili.

La scelta dei colori si deve probabilmente ai vessilli della Legione Lombarda nei quali il bianco e il rosso del comune di Milano si affiancavano al verde delle divise della Guardia civica milanese. Gli stessi colori, vennero adottati anche dalla Legione Italiana, composta da soldati provenienti dall’Emilia e dalla Romagna.

Il significato romantico della scelta dei colori è:

  • Verde come le nostre pianure

  • Bianco come i ghiacciai sulle Alpi

  • Rosso come il sangue versato dai nostri compatrioti per l’unione della nostra terra

IL TRICOLORE.IT

Dal Dipartimento del Cerimoniale di Stato – Ufficio del Cerimoniale
   

La Bandiera

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Cento anni fa nasceva Alberto Pincherle più noto con il cognome della nonna materna, Moravia.

Nasce in una famiglia romana ebraica benestante. La sorella è la pittrice Adriana Pincherle. Tra il 1916 e il 1925 lo colpisce una grave forma di tubercolosi ossea, malattia che segnerà profondamente la sua esistenza, e compie pertanto studi irregolari, nutrendosi tuttavia di vastissime letture. Dopo un’ultima degenza in sanatorio, tra il 1925 e il ’28 scrive Gli indifferenti, dapprima concepito come canovaccio teatrale, poi strutturato come un vero e proprio romanzo, con una ampiezza di respiro che la tendenza al frammento di quegli anni aveva in parte occultato. L’opera, pubblicata a Milano nel 1929, viene scritta anche nelle “grotte” di Bragaglia di via degli Avignonesi, di cui è un frequentatore abituale.


Partecipa al movimento novecentista guidato da Bontempelli, e su “900” pubblica nel 1929 la sua prima novella, Cortigiana statica. Tra la sua produzione degli anni Trenta ricordiamo il romanzo Le ambizioni sbagliate (1935), mentre su “Pegaso” di Ojetti e Pancrazi pubblica i racconti Delitto al circolo del tennis ( 1929) e Inverno di malato (1930). Nel 1929 de Libero lo invita a collaborare a “Interplanetario”, su cui Moravia pubblica alcune novelle. Collabora al primo numero di “Fronte” (1931), la rivista di Scipione e Mazzacurati con un articolo sul romanzo inglese. Vicino alla contessa Pecci-Blunt, scrive alcune presentazioni per le mostre alla Galleria della Cometa. In questo periodo è vicino alla scrittrice Elsa Morante e frequenta i pittori tonalisti (in particolare Capogrossi). Negli anni Trenta inizia un’instancabile attività di viaggiatore come inviato di vari giornali, anche per sottrarsi al clima di tensione che si è creato con il regime. Negli anni Quaranta alcuni articoli su riviste sono firmati con lo pseudonimo di Pseudo, cui Moravia viene costretto dopo la pubblicazione della Mascherata.(1941) , un testo in cui “intendeva colpire la dittatura immergendola nell’assurdo groviglio delle avventure politiche e delle imprese del sesso” (Manacorda): una tematica che ritroviamo nei contemporanei dipinti di Mafai o Maccari.
Della sua vastissima produzione del dopoguerra ricordiamo i centotrenta Racconti romani (1954 e ’59), vero monumento alla vitalità e all’inventiva della gente romana.

Toni Servillo legge “GLI INDIFFERENTI”

L’articolo de il Tempo

Da Wikipedia: 1 Biografia ; 2 Opere ; 3 Bibliografia dettagliata ; 4 Voci correlate ; 5 Altri progetti ; 6 Collegamenti esterni ;

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oggi, 90 anni fa, nasceva FELIX il gatto. il gattino nero di Pat Sullivan e Otto Messmer, Felix the cat (in italia Mio Mao),  fu il primo vero divo multimediale e negli anni venti era noto quanto Charlie Chaplin.

Felix fu uno dei divi del muto, perfetto interprete di storielle affidate più all’immagine che al testo e guidate da una logica visiva surreale e sorprendente (fonte).

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Accadde il 15 ottobre, 90 anni fa, che Mata Hari fu giustiziata da un plotone di esecuzione francese. Il suo nome divenne sinonimo di femme fatale.

mata hari

Margaretha Geertruida Zelle MacLeod (questo era il suo vero nome) non era una donna bellissima (come oggi la possiamo intendere), ma era indubbiamente molto sensuale e affascinante. Era alta 1 metro e 77 (altissima per l’epoca), e non passava certo inosservata, era olandese e aveva vissuto molti anni in Indonesia, era elegante, colta e intelligente, parlava sei lingue e aveva un gran talento per la danza.Ma cosa fu veramente? Danzatrice? Spia? Femme-fatale? Doppiogiochista? Avventuriera? Prostituta? Ninfomane? Millantatrice? Megalomane? Ragazzina viziata? O tutte queste cose messe assieme?
Di certo era molto intraprendente e sicura di sé: quando arrivò a Parigi nel 1904 aveva soltanto 50 centesimi nella borsetta, ma prese subito alloggio al Grand Hotel…
Di recente, alcuni autori revisionisti, hanno persino messo in dubbio che Mata Hari fosse stata realmente una spia; sostengono che fu vittima di un errore giudiziario. L’errore invece lo commette chi legge i documenti dell’epoca come fossero “oro colato”. Desumere la vicenda di Mata Hari dai verbali del processo sarebbe come raccontare il caso Kennedy accettando il rapporto della commissione Warren, o il disastro di Ustica leggendo le carte processuali…I Servizi Segreti sono da sempre “segreti” per definizione, e quindi ogni loro azione è secretata o scarsamente documentata dai governi. A questa regola non sfugge Mata Hari, donna poliglotta quasi apolide, di dubbia moralità, che viaggiava per lavoro e aveva un debole per le uniformi, che frequentava gli ambienti giusti ma aveva un continuo bisogno di denaro per vivere nel lusso più sfrenato.
Un personaggio così prezioso e facile da “comprare”, non poteva sfuggire all’attenzione dei “servizi di informazione” che cominciavano a dilagare in Europa durante la Belle Epoque.
Probabilmente Mata Hari accettò di diventare dapprima una semplice informatrice dei tedeschi. In quel tempo le comunicazioni erano ancora lente e faticose, e una banale lettera poteva trasmettere notizie importanti, raccolte magari nei salotti (o nei letti) della Ville Lumière.
A quel punto però la donna era entrata nella rete e, con l’avvicinarsi del conflitto mondiale, fu probabilmente costretta a diventare una vera e propria spia del “Tiergarten” tedesco (col nome in codice di H21); erano tempi pionieristici, in cui la seduzione giocava un ruolo importante, le donne non venivano sospettate di spionaggio e il massimo della tecnologia era l’inchiostro simpatico.
La fine di Mata Hari arrivò quando, confidando troppo sulle sue protezioni altolocate, tentò di fare il doppio gioco coi francesi; per questo venne tradita, arrestata e fucilata.

Mata Hari, Greta Zelle, Lady MacLeod, Clara Benedix, la spia operò con molti pseudonimi ed è difficile capire cosa combinò veramente. Certo è che molte cose furono insabbiate dagli stessi francesi, che la vollero fucilare in modo esemplare per sollevare il morale di una popolazione depressa dalla guerra, ma per lo stesso motivo non avevano interesse che si sapesse tutta la realtà dei fatti. Perciò, dopo una lunga istruttoria, il processo fu breve e si tenne a porte chiuse e, a distanza di soli quattro giorni dalla fucilazione della spia, il suo principale accusatore, Georges Ladoux, fu a sua volta arrestato con l’accusa di spionaggio a favore della Germania.

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Invece, solo 10 anni fa, il 15 ottobre, in Sardegna: con una legge regionale, si riconosce il sardo come seconda lingua ufficiale della Regione autonoma. Insomma la regione diventa bilingue.

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